Una giovinezza promettente
A Venezia, il 6 di marzo 1640, nasce Marc’Antonio Barbarigo. La sua è una fanciullezza serena, nutrita dall’amore dei genitori e dall’educazione dei maestri, i quali contribuiscono in modo deterninante alla formazione della sua futura personalità.
A venticinque anni indossa la toga dei patrizi ed entra di diritto a far parte del Gran Consiglio della Repubblica Veneta. Il segno esteriore della sua nobilità non lo fa sentire diverso dagli altri, né lo distoglie dai suoi impegni religiosi e dal servizio della carità.
Il giovane Marc’Antonio si lascia condurre dalla mano paterna di Dio; “cresce lungo il cammino il suo vigore” (Sal 83,8), mentre gli si apre in chiarità di luce l’orizzonte della vita. Dalla brillante carriera politica nella Repubblica Veneta, il giovane Marc’Antonio passa al ministero sacerdotale.
Alla scuola di un Santo
Alla scuola di San Gregorio Barbarigo – grande riformatore della vita culturale, spirituale e pastorale a Padova – che lo vuole suo collaboratore, Marc’Antonio consolida le sue scelte, cresce nella carità pastorale e acquisisce una larga esperienza soprattutto nel settore catechetico.
I due si stringono insieme nella più bella amicizia: ciascuno è per l’altro, quell’amico che la Bibbia definisce tesoro, tetto fedele, balsamo della vita. Gregorio non fatica a riconoscere nel giovane la ricchezza interiore e a presagirne un futuro promettente.
Nel vivo di un ministero
Nominato arcivescovo di Corfù è ormai pronto per esercitare un’efficace attività apostolica. In clima di preghiera stila un nuovo e impegnativo itinerario spirituale: al primo posto mette la santità della propria vita, quella dei sacerdoti e quella del popolo cristiano.
A Corfù egli rivolge le cure di Pastore alla formazione del clero e all’insegnamento della Dottrina Cristiana. La sua sensibilità lo spinge a prodigarsi con i più deboli, con i poveri, con i carcerati e con gli ammalati, ai quali offre personale assistenza material e spirituale.
“L’essere vescovo consite nel servire i popoli, soccorrere i poveri, correggere i vizi, far fiorire la virtù, impedire gli scandali, anche a costo della propria vita. Il vescovo deve stimarsi il più povero della diocesi e tenere i poveri per i suoi signori; guardarsi dal fato della vanità, piacere a Dio e non al mondo. Per essere Grande in Cielo si deve essere piccolo sulla terra!” (Marc’Antonio Barbarigo)
Il Papa Innocenzo XI lo eleva alla porpora cardinalizia il 1 settembre 1686. Montefiascone è la nuova, ultima sede di Marc’Antonio Barbarigo, la terra destinata a ricevere largamente il dono della ricca esperienza accumulata negli anni vissuti a Padova e nell’isola di Corfù.
Prendi posesso della diocesi falisca nell’ottobre 1687. Profondamente consapevole della responsabilità affidatagli, scrive: “La Chiesa di Cristo non è un giardino di riposo, ma una vigna di lavoro”.
La diffusa corruzione dei costumi di quel territorio non lo lascia riposare. Attraverso un preciso programma pastorale e con l’ausilio delle Missioni popolari, egli trasforma la sua diocesi in una “vigna deliziosa”, feconda di frutti di conversione e di carità.
“Con tutto me stesso io devo conseguire la mia santità personale, quella del clero e del popolo a me affidato; il Vescovato è stato di perfezione, per cui io più di ogni altro devo imitare la santità di Gesù Cristo, vero esemplare del Vescovo!”
In fedeltà al Concilio di Trento il cardinale fa costruire un seminario ampio e funzionale.
Un altro grande sogno di Marc’Antonio Barbarigo è quello di aprire nella sua diocesi le scuole della Dottrina Cristiana per istruire fanciulle del popolo, le quali vivono nell’abbandono e nella miseria più assoluta. Invita per questo progetto una santa donna, Rosa Venerini, che lo sta attuando a Viterbo. Vengono aperte Scuole a Montefiascone e in vari paesi della Diocesi, ma Rosa Venerini deve tornare a Viterbo.
Il Barbarigo scopre in Lucia Filippini la discepola fedele, la Figlia prediletta, la Maestra per le sue Scuole, la pietra d’angolo su cui poggiare le fondamenta della nuova Istituzione. Ambedue, con la chiamata alla vita, portano profondamente scritta nel cuore la stessa missione da compiere: gridare l’amore di Dio sulle vie dell’uomo, chinarsi sulle miserie umane, educare i giovani al senso cristiano della vita, per una ricostruzione della famiglia in ordine alla santità della vita stessa.
In un contesto sociale, nel quale la donna del popolo è emarginata, il Barbarigo riapre le pagine più belle della storia della Chiesa, con le sue insigni figure di Vergini, dedite ad una multifome attività caritativa ed apostolica, sognando così le sue future Maestre. Inventar il nuovo, cioè una forma di vita attiva nella Chiesa, un Istituto di consacrate-apostole. La fiducia che il cardinale ripone in Lucia Filippini è illimitata.
Se i poveri sono “i suoi signori”, le scuole sono “la pupilla dei suoi occhi”. Con vero senso anticipatore dei tempi, egli vede la Scuola come ambiente di vita, palestra di formazione ai valori autentici, strumento di promozione umana e cristiana.
Marc’Antonio Barbarigo esalta la dignità della donna riconoscendole un ruolo attivo nella comunità cristiana. Egli avverte che la presenza e la collaborazione della donna, specie se consacrata, contribuisce alla fecondità della Chiesa. Proprio questa profonda convinzione sollecita il cardinale a dare vita ad una famiglia di Maestre consacrate. Nella mente di Marc’antonio la santità della vita abilita le sue Maestre alla missione; ogni altra qualifica ha innegabile valore solo se è illuminata dalla sua bellezza.
Marc’Antonio Barbarigo si spegne in concetto di santità il 26 maggio 1706. Egli rimane un testimone di tutti i tempi, di ieri, di oggi e domani, esempio luminoso di amore, di grazia e di cartà nella dedizione della propria esistenza al servizio dei bisognosi. È in corso la causa di beatificazione.
“Se fossi stato un mercante sarebbe disonorevole per me morire sommerso dai debiti. Ma poiché sono un Pastore di anime, disonorevole, per un servo del Signore, sarebbe l’aver vissuto accumulando ricchezze!”